It’s A long way to Vagina

C’era questa ragazza che era una mia compagna di classe del liceo e che io amavo con tutto il cuore dal profondo del mio cuore di sedicenne. L’avevo tampinata per tutta l’estate, con pazienza e infinito amore, tutte le mattine prendevo il motorino e mi facevo venti chilometri per andare a casa sua a portarle le brioche fragranti ancora calde per la colazione. Adesso, a ripensarci, mi vengono i brividi. Dio, le brioche per la colazione, che razza di perdente. Eppure al tempo mi sembrava una cosa dolce, anche lei diceva che era una cosa dolce, ma nonostante questo non c’era verso di arrivare alla sua vagina.
“In che cosa sbaglio?”, mi chiedevo. Forse era la marmellata. Forse dovevo lasciar perdere l’albicocca e provare con la ciliegia. O prenderle direttamente dei biscotti, del gelato, frutta fresca. Che razza di stupido sfigato senza speranza: non mi passava neanche per la mente che avrei avuto molte più possibilità restandomene a letto a dormire e dimenticandomi non solo di portarle la colazione, ma di lei, della sua casa, della strada per arrivarci e del fatto che avesse un apparato digerente. Ma come si fa ad essere maturi a sedici anni? 
Spesso le brioche rimanevano dentro il sacchetto al centro del tavolo. Le mangerà più tardi, mi dicevo. Una volta le ho trovate, tre giorni dopo, sempre dentro il sacchetto ma sul terrazzo, per terra, vicino alle borse dell’immondizia. La cosa mi aveva ferito di una ferita che sanguina ancora. Che cosa avrei dovuto fare? Chiaro: andare a prendere le brioche ammuffite da tra giorni, prendere lei per un braccio, portarla al tavolo, farle un cappuccino freddo, metterle davanti una brioche spazzolando via tutte le formiche e dirle “ora tu mangi le tre brioche che io ti ho portato con tanto amore, altrimenti, te lo giuro, è l’ultima volta che mi vedi”. Lei avrebbe pensato “non dice sul serio. Non potrebbe mai rinunciare a me, in fondo lui è il mio povero, sfigato, idiotissimo zerbino domestico”, e dunque mi avrebbe risposto “ah ah… no, dai!”, sbattendo le ciglia e irrorando gli occhietti di liquido seduttore, e allora io non avrei dovuto fare altro che spingere con un dito una brioche verso di lei e dire “mangia. La cazzo. Di brioche”. 
E basta, tutto qui. 
Lei non le avrebbe mangiate, figurarsi, ma io me ne sarei potuto andare con il mio orgoglio ripristinato, intatto, anzi un orgoglio nuovo, e il giorno dopo avrei raccontato tutto a scuola e sarei diventato l’idolo dei maschi e l’idolo delle femmine, compresa lei, e lei mi sarebbe venuta a cercare, poco dopo, e io allora le avrei detto molto chiaramente “senti, qui si parla di amore ma fondamentalmente anche di scopare” e lì si sarebbe definitivamente decisa la questione e, visto che alla fine non me la sono fatta, probabilmente me la sarei fatta, oppure non c’era verso di farsela e allora meglio lasciar perdere e cominciare a perdere tempo appresso a un’altra.
Invece ho guardato le brioche abbandonate sul terrazzo con le formiche che ne prendevano dei piccoli frammenti, mi guardavano e mi facevano segno di “ok!” con le minuscole ditine filiformi che solo io riuscivo a immaginare come per dirmi “sono buonissime, porco mondo, sei davvero un tesoro, grazie”, e non le ho detto niente e, uno direbbe, almeno hai smesso di portargliele? Certo. Però ho cominciato a portarle altre cose e solo molto tempo dopo ho capito che lei faceva colazione con una tazza di caffè e delle amfetamine.
Ma, nella mia torbida visione della vita, stavo facendo strada, accumulando punti, macinando chilometri. Ogni brioche era un punto-vagina. Non dire niente e amarla comunque nonostante le brioche abbandonate sul terrazzo preda delle formiche, un altro punto-vagina. Accompagnarla alla fermata dell’autobus tutti i giorni e a volte spendere un capitale in miscela rischiando multe, botte e la vita per accompagnarla direttamente fino a casa, dieci punti-vagina. Dirle “andiamo in piscina?” e sentirsi rispondere “non ho il costume” e dire “aspetta qui” e andare a comprarle costume, telo da bagno, tappa-naso, pinne e bombola per le immersioni, tornare e suonare il campanello e sentirsi dire da sua madre che “è uscita con Pietro” e non avere la più pallida idea di chi cazzo possa essere Pietro ma nonostante tutto non dire niente, non lamentarsi, non suicidarsi sparandosi nei polmoni tutta la bombola d’ossigeno d’un fiato e invece tornare a casa per penitenza camminando all’indietro con le pinne sotto la canicola lungo la pista ciclabile che fiancheggia la statale dove passano di continuo tutti gli abitanti che entrano ed escono dal paese, mille punti-vagina. 
Quanti punti occorressero per ritirare la vagina-premio, non l’ho mai scoperto. Forse un miliardo. O, con tutta probabilità, quelli non erano punti-vagina, erano punti zerbino, solo dei fottuti, inutili, mortificanti punti zerbino. Il premio era raggiungere il comprendonio.

 

C.

Questa voce è stata pubblicata in Senza categoria. Contrassegna il permalink.

Lascia un commento